L’intelligenza all’uomo è utile, ma non basta per comprendere e decidere. È quanto afferma il filosofo Silvano Petrosino, che dipinge il quadro di una cultura attuale orientata al “problem solving”. Lo sforzo, cioè, di rimuovere gli ostacoli che impediscono di raggiungere obiettivi e desideri, grazie a strategie vincenti che, applicate passo-passo, permettono di giungere alla meta. Semplice, rapido, con successo assicurato. Ma accanto a “problemi” grandi e piccoli, nella vita quotidiana ci si imbatte in autentiche “questioni”, di fronte a cui l’intelligenza arretra. Trovarsi in classe un bambino che ha appena perso il padre, e dovergli insegnare la tabellina del 3, quando non basta conoscere la matematica. Scegliere se sposare, o no, la donna di cui si è innamorati, dove non basta sapere se si ha un lavoro stabile e se gli esami medici sono tutti OK. Giocare a scacchi con il figlio e farlo vincere, ma senza che se ne accorga, mentre un computer saprebbe solo puntare alla vittoria. Sono esempi di “questioni” di fronte alle quali deve entrare in campo ciò che i filosofi chiamano “ragione”, un pensiero cioè che sa misurarsi con il mistero, l’infinito, il non calcolabile. Là dove non esistono risposte facili, schemi e metodi noti da applicare, ma occorre chiedersi il perché e il senso delle cose. Misurandosi con quel “sapere di non sapere”, che Socrate addita come primo passo verso la conoscenza autentica. È il sapere, delicato e umile, che occorre esercitare quotidianamente nella casa, luogo di intimità e giustizia, in cui si impara ad accettarsi gli uni gli altri, con i propri difetti e le manie. In cui trovano posto vecchi oggetti, apparentemente inutili, ma custodi di memorie famigliari. Un luogo in cui giustizia non significa equità, ma attenzione all’unicità di ognuno e ai suoi bisogni. Tecnocrazia è pretendere di appiattire ogni “questione” a un “problema” da risolvere, dando risposte troppo semplici a una realtà, di fronte a cui, prima del “come”, occorre chiedersi “perché”. E usare la “ragione”, che non è solo “intelligenza”.
Sono oggetti curiosi, dimenticati sulla terra da alcuni extraterrestri; belli e all’apparenza innocui, ma che appaiono produrre imprevisti effetti negativi su chi se ne impossessa, e specialmente sui suoi figli. È la metafora, tratta dal romanzo “Picnic sul ciglio della strada” che Silvano Petrosino sceglie per parlare della tecnologia e del consumismo e degli effetti che hanno sulla nostra vita personale e sociale. Tutto-subito-sempre. Questa è la cifra sintetica della mentalità a cui ci educano e plasmano quotidianamente, esemplificata nel supermercato, il luogo in cui si trova quasi tutto, sempre e a un prezzo ragionevole. Un modo di sentire costantemente alimentato dal cellulare sempre in tasca, consultato in continuazione, non perché ce ne sia un reale bisogno, ma perché visto che è in tasca, crea l’abitudine ad usarlo. Un’attitudine alla velocità e alla semplificazione, celebrata dai talk show televisivi, in cui si confrontano pareri, che, in mancanza del tempo per approfondirli e motivarli, non hanno lo spessore e la fondatezza di un autentico sapere. Sembrano strumenti neutri (“dipende da come li usi”), ma in realtà hanno effetti profondi e difficilissimi da contrastare. Come il diffondersi di un senso di onnipotenza, che non tollera più limiti e insuccessi – percepiti come fallimenti intollerabili –, e che si spinge sempre più ai confini della nascita e della morte, l’una ormai possibile anche senza alcun esercizio della sessualità, l’altra liberamente scelta. Un altro effetto è lo smarrimento della dimensione del tempo, riassunto nello slogan “life is now”, che dimentica come l’uomo viva di relazioni, che si costruiscono nel tempo e con pazienza, si alimentano di memoria e di speranza, nella “aggrovigliata trama dell’umana esperienza”. Ecco così nascere l’illusione che una tesina di laurea rabberciata in pochi giorni, copiando e incollando da Internet, sia paragonabile a un serio lavoro di ricerca, o che i piatti pronti del supermercato – cui si è costretti per la fretta della vita quotidiana – siano equivalenti ai ravioli fatti in casa imitando i gesti imparati dalla nonna. Educare allora è andare contro corrente, sfruttando con intelligenza, coraggio e creatività gli spazi concessi a scuola – pochi ma preziosi – rendendoli autentiche occasioni formative per suscitare consapevolezza e spirito critico, alternativi ai messaggi che, con ripetizione inesorabile, istruiscono i ragazzi nel nostro contesto culturale. Un compito difficile, ma indispensabile, cui nessuno deve abdicare.