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Nove incontri per dischiudere il mistero dell’ultimo libro del Nuovo Testamento. Il messaggio del veggente Giovanni, intessuto di visioni e simboli, trattiene il mistero profondo della salvezza, che attende di essere rivelato, per donare nuova speranza all’umanità, assetata di Dio. L’itinerario avrà anche funzione propedeutica a un pellegrinaggio in Turchia e Patmos (agosto 2018) proposto dall’Ufficio Pellegrinaggi della Diocesi di Vicenza, in collaborazione con La Nuova Regaldi e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Novara.
«Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere». Il testo del capitolo 20 dell’Apocalisse ha visto i lettori dividersi, nei secoli, tra interpretazioni letterali - che hanno dato vita ai vari “millenarismi” in attesa della fine del mondo - e allegorico-simboliche. Le prime smentite a più riprese nella storia, le seconde funzionali, di volta in volta, a far dire al testo ciò che l’interprete desiderava nel contesto storico a lui attuale. Ma cosa potevano rappresentavano i famosi “mille anni” nel contesto originario, in cui fu scritto il testo? Per rispondere occorre risalire alle radici della letteratura “apocalittica” - così chiamata proprio dall’ultimo testo dell’Antico Testamento -. Essa raccoglie testi esoterici, commissionati anch’essi dalla classe sacerdotale di Gerusalemme, e destinati non al popolo - come i 24 libri accolti nel canone ebraico rabbanita - ma ai membri stessi del gruppo dirigente. Testi densi dei più alti misteri di Dio, e per questo celati sotto un linguaggio simbolico noto solo agli iniziati. La loro teologia è frutto dell’incontro della religiosità ebraica con quella iranica, conosciuta sotto il dominio persiano e fonte di grande fascino e attrazione. In essa il soprannaturale è ricondotto al primeggiare di un’unica divinità, posta all’origine dello spazio e del tempo, inizialmente fusi in un tutt’uno indefinito. Quest’unità si è rotta per dare luogo al tempo della storia umana, dominata dal conflitto tra bene e male, che dopo 12 mila anni volgerà al termine con il trionfo del bene e il ritorno all’unità originaria, che non sarà mai più turbata. Dio abita oltre il settimo cielo, e la sua sede è collocata in quel centro immobile attorno a cui ruotano tutte le altre stelle, che nel V secolo a.C. coincide con uno degli assi della costellazione del piccolo carro. Adonay, il Dio di Israele, è colui che abita questo luogo unico in cui hanno origine lo spazio e il tempo - scandito dalla rotazione delle stelle - e il tempio di Gerusalemme e l’arca dell’alleanza - “piccolo carro” che riproduce quello celeste - sono la sua dimora sulla terra. Se, come dice il Salmo 90, per Dio mille anni «sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia della notte», 12 ore divine corrispondono a 1000 anni umani. I sei giorni della creazione corrispondono quindi a 12 mila anni. E al loro termine si ha il sabato, che nel testo di Genesi non vede mai il tramonto, e quindi dura… 1000 anni. È appunto tempo nel quale regneranno con Cristo alla fine della storia, come narra il testo dell’Apocalisse, la durata di un dì - secondo il computo divino -, al termine del quale Satana sarà liberato, ma per venire subito sconfitto, e definitivamente dal Cristo risorto, insieme con la morte e con i suoi seguaci, per i quali non ci sarà più posto nella nuova creazione, nel giorno eterno di Dio che non vedrà tramonto. È quanto avviene il sabato santo, in cui Cristo sconfigge per sempre la morte, compimento escatologico del primo sabato, senza tramonto, collocato all’origine dei tempi.