Numero di documenti: 4
Un percorso in tre incontri per esplorare i punti cruciali dell'attuale ricerca sulla figura storica di Gesù e la sua ricezione credente nel corso del primo secolo della nostra era. È la proposta che don Silvio Barbaglia (Licenziato in Sacra Scrittura e Dottore in Teologia, indirizzo biblico) rivolge a studiosi e appassionati della storia di Gesù. I tre focus offrono spunti di riflessione, una sintesi delle questioni retrostanti e degli elementi essenziali del dibattito, per delineare prospettive portatrici di elementi di novità.
Evento-oralità-scrittura. È lo schema in tre tappe che il Magistero ecclesiale propone come spiegazione del processo genetico dei Vangeli, interpretando in tal senso il prologo del Vangelo di Luca. Uno schema condiviso dalla maggioranza degli studi, che, inoltre, ritengono in gran parte i racconti evangelici essere stati scritti attingendo al Vangelo di Marco e a una fonte “Q” – mai rinvenuta nei manoscritti, ma di cui è stata tuttavia pubblicata un’edizione critica –, creando testi composti in diverse aree geografiche (Antiochia, Roma, Grecia/Siria, Efeso rispettivamente per Matteo, Marco, Luca e Giovanni) e destinati, in origine, alle comunità che le abitavano. Ma un’attenta lettura del prologo di Luca può avvalorare l’ipotesi dell’esistenza di un antico testo fondatore – il Vangelo degli Ebrei o degli Apostoli – citato dai Padri come testo autorevolissimo, e che Marcione avrebbe usato ed emendato, nell’operazione condannata da Tertulliano e Ireneo come eretica, della scrittura di un nuovo unico vangelo. L’antico vangelo delle origini sarebbe stato steso a Gerusalemme già in contemporanea alla prima attività di predicazione orale, e a esso la scuola scribale della comunità gerosolimitana avrebbe attinto per dare forma a racconti destinati alle classi sacerdotali (Luca), alla missione ad gentes (Matteo), alla formazione battesimale dei catecumeni (Marco) e all’educazione dei missionari (Giovanni). Testi anticamente anonimi, per scelta redazionale esplicita volta a innalzarne l’ispirazione divina, e attribuiti nel II secolo a nomi di illustri campioni della fede per sancirne l’autorevolezza autoriale. La nuova ipotesi muta la collocazione spazio-temporale e l’autorialità dei testi del Nuovo Testamento, aprendo prospettive inedite di comprensione della loro origine.
Un “big man”, amplificato dalla narrazione evangelica rispetto ai suoi contorni reali. Così appare Gesù alla maggioranza degli studiosi, i quali, se ritengono che i Vangeli abbiano “romanzato” molti aspetti della sua vita, accettano però come dati storici alcuni loro elementi, tra i quali quello che Gesù, figlio del falegname, esercitasse a sua volta tale arte come unica sua competenza professionale; egli sarebbe stato quindi analfabeta e non istruito nelle scritture, e perciò la sua sapienza “divina”, superiore a quella degli scribi, sarebbe quindi inventata dai testi. Ma sarebbe anche possibile, e più naturale, pensare al contrario che Gesù, che i Vangeli dipingono come appassionato della Parola, si sia dedicato a essa fin dalla giovinezza formandosi a scuole scribali fino ad acquisirne altissime competenze; i Vangeli avrebbero quindi omesso accenni a questi suoi studi nel racconto della sua infanzia per indurre a pensare a una scienza potentemente “infusa” dall’alto, come parte del suo rapporto figliale con Dio. Un Gesù scriba e rabbì, quindi – come effettivamente è chiamato nei testi evangelici – e dotato di una sua interpretazione personale delle Scritture, che diventa il programma di vita suo e dei suoi seguaci, chiamati a lasciare le famiglie di appartenenza e tutte le loro proprietà, per dedicarsi interamente all’annuncio e alla predicazione, itinerando senza sosta nel territorio di Giuda e Israele. Un programma che Gesù appare trarre dai primi tre capitoli della Genesi, in cui l’uomo “lascia suo padre e sua madre” unendosi per sempre alla donna che ama, e vive dei frutti del giardino di Eden, senza bisogno di lavorare la terra, prima che l’ingresso del peccato sulla scena del mondo sconvolga il piano iniziale di Dio. L’itinerare nella terra di Israele sarebbe simile al passeggiare di Dio nel giardino di Eden, alla ricerca dell’uomo peccatore, come presenza che distingue tra luce e buio e chiama alla conversione. Gesù si pone quindi come nuovo Adamo, fedele al piano di Dio come prima della caduta, e il “regno dei cieli” è appunto lo stile di vita della comunità dei discepoli, che mettono in atto questo ritorno alla signoria di Dio che regnava incontrastata nell’Eden. Gesù, come Adamo, sarebbe quindi uomo nuovo, direttamente creato da Dio a sua immagine, e per questo i racconti di Luca e Matteo ne descrivono la venuta al mondo per concepimento divino nel grembo di una vergine, compiendo l’annuncio profetico di Isaia, in una visione escatologica saldamente fondata sulla protologia della Genesi.
Non solo genericamente “Dio”, ma Kýrios, equivalente del nome sacro impronunciabile di Dio. Così Gesù viene presentato nei Vangeli, in una parabola che nei sinottici parte dalla narrazione della sua vicenda umana per mostrarne la divinità, mentre nel quarto Vangelo parte dalla preesistenza del Verbo di Dio, che si incarna nella storia. Come giunse la comunità credente a tali consapevolezze? Tra gli studiosi che si sono dedicati al tema, Hurtado evidenzia come la comunità credente abbia venerato Gesù come Kýrios negli inni usati ambito celebrativo e liturgico, cosa sorprendente in una religione monoteistica, in cui Adonai non poteva avere comprimari. Ehrman ritiene che la divinità di Gesù sia frutto di una riflessione dei discepoli dopo la sua morte, a partire dalla risurrezione di Gesù, in cui credevano. Boccaccini mostra come, nella complessa fenomenologia del divino, Adonai, con cui Gesù è identificato, ha la prerogativa esclusiva di essere il Creatore, colui dal quale dipende lo start di tutto. Tutti e tre gli autori ritengono che la riflessione cristologica sia stata opera esclusiva della comunità credente, svolta dopo la morte e la (creduta) risurrezione del Maestro, in un processo di mitizzazione delle proprie origini comune a tutte le culture. È tuttavia ragionevole ipotizzare che la rielaborazione dei fedeli sia partita da categorie di lettura maturate nell’esperienza vissuta con Gesù stesso, e tratte dal testo fondatore – i primi tre capitoli di Genesi – che stava alla base della loro halakhah ed era perciò probabile oggetto di assidua meditazione. In esso troviamo le parole con cui Adonai predice al serpente che la stirpe della donna gli schiaccerà la testa. Profezia che riecheggia in Is 7,14 in cui la “vergine” concepirà il Dio-con-noi. Essa, realizzata storicamente da Ezechia, che elimina l’idolo del serpente da Gerusalemme, resta aperta al futuro e si ripresenta in Gesù, “nato da donna” senza intervento maschile, ma per opera della potenza di Dio, che nel grembo di Maria ha dato origine al nuovo Adam – immagine di Dio –, attuando un nuovo processo di creativo. L’intervento dello Spirito non è sostitutivo del seme umano, ma rappresenta lo start di una nuova creazione, che fa ripartire la storia. Gesù così è figlio di Dio in senso proprio, e non in senso adottivo come il popolo e il suo messiah, e il nato da donna è l’iniziatore di una stirpe che si oppone al demonio, realizzando la profezia di Genesi. L’inno di Fil 2,5-11 mostra il nuovo Adam, creatura a immagine di Dio, che accetta in fedeltà al Padre di abbassarsi alla forma del servo, spogliandosi della forma divina; il Creatore perciò dona a lui il suo nome di Kýrios, di cui si spoglia a favore del Figlio, per mantenere a sé il nome di Abbà, che il Figlio stesso gli ha attribuito. È l’esito di una cristologia del basso che, dopo la morte e risurrezione di Gesù, crea le premesse per l’elaborazione del tema della preesistenza del prologo di Gv, che parte sempre dal testo generatore di Gen 1-3, il quale fonda la teologia della parola che esce dalla bocca di Dio e si trasforma in realtà: Gesù è “luce”, la prima parola di Dio, e incarnandosi diventa Adam, come nell’atto ultimo di creazione divina del sesto giorno. I testi iniziali di Genesi, fonte della halakhah di Gesù e del suo gruppo, appaiono così essere fondamento e premessa della comprensione dell’identità di Gesù negli scritti neotestamentari.