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«Let's party!», festeggiamo!, potrebbe essere il motto riassuntivo di un’umanità che, a partire dal 1950 circa ha incrementato drasticamente il suo impatto sul pianeta in termini di consumo di risorse e produzione di rifiuti. Detonatori di questa “esplosione” sono stati l’impiego massiccio dei combustibili fossili e la scoperta della sintesi dell’ammoniaca, che ha consentito di usare l’azoto atmosferico per “dopare” i terreni moltiplicando la produzione agricola. La popolazione mondiale ha visto così un’impennata verso numeri che si attestano sugli attuali 7 miliardi di persone, destinati ulteriormente a crescere. Ma la “festa” non è destinata a durare ancora molto, e chi verrà dopo di noi si troverà a fare i conti con un pianeta devastato. Per decenni infatti l’abbiamo depredato di risorse, trasformando le foreste in piantagioni estensive, perforandone ogni angolo alla ricerca di petrolio, sempre più costoso, difficile da estrarre e gravido di impatto inquinante. L’atmosfera è divenuta una discarica di anidride carbonica, responsabile dell’aumento costante della temperatura a causa del noto “effetto serra”. Siamo ancora in tempo per fermarci e fare marcia indietro? Forse sì, ma non dobbiamo perdere tempo. Occorre incrementare l’impiego di energie rinnovabili, produrre oggetti che non siano solo pensati per essere venduti e usati, ma anche per riciclarne i componenti, renderci conto che produrre anidride carbonica e altri rifiuti ha un impatto sul “capitale naturale”: un bene di cui fruiamo gratuitamente, ma che non è “gratis”, perché prima o poi sfruttarlo senza criteri ci presenterà un conto assai salato da pagare. Fondamentale quindi è l’educazione, e l’introduzione di criteri pratici che ci spingano a misurare pragmaticamente i danni che arrechiamo all’ecosistema, e a pagare di persona per accantonare le risorse necessarie a ripararli.
È additata da papa Francesco come propellente fondamentale per il cambiamento in meglio della società. Ma la famiglia è oggi fortemente in crisi. Il solido modello patriarcale e i suoi valori, travolti da rivoluzione industriale e boom economico, hanno lasciato il posto a una realtà “liquida”, popolata da adulti che coltivano il mito di un’eterna adolescenza, schiavi dell’imperativo dell’autorealizzazione. Il rapporto di coppia diventa così una fragile alleanza in cui i coniugi sono alla perenne ricerca di se stessi, pronti a “mollare” alla prima delusione. Con i figli nasce un rapporto democratico e affettivo, in una confusione tra ruoli materni e paterni che porta alla scomparsa della paternità. Il mito dell’armonia come ideale di vita famigliare porta a non dire quei “no”, che insegnano al bambino a gestire i vuoti e le mancanze, nel necessario passaggio della dinamica che porta dal bisogno al desiderio. I bimbi sono quindi lasciati ostaggi della loro illusoria onnipotenza, e resi partner e arbitri della loro stessa educazione, come esseri “perfetti” ammirati dagli adulti. Il sogno si infrange bruscamente alle prime difficoltà scolastiche, percepite in famiglia come fallimenti intollerabili. Urge uscire da questa crisi, per il bene dell’intera società. Non si può ovviamente tornare al modello patriarcale, ma occorre trovare nuove strade e nuovi modi. Con alcune linee guida: il recupero dell’autorità come esercizio necessario per la crescita dei piccoli, l’asimmetria educativa che chiama l’adulto a essere guida, il recupero della speranza nel futuro e la fiducia nel patto di alleanza tra le generazioni, dono a fondo perduto da accettare nella gratitudine.
Una “casa comune” dove non siamo i padroni, ma ospiti, alla pari degli altri viventi. È la provocatoria visione del mondo proposta dalla Laudato si’, un‘enciclica che invita la Chiesa e l’umanità a ripensare il rapporto con la natura. Essa infatti ha senso e valore in sé, e non solo in quanto utile all’uomo. Papa Francesco invita così ad abbandonare l’antropocentrismo tipico della cultura ebraica e occidentale per guardare al mondo da molteplici punti di vista, che ci aiutino a coglierne l’inesauribile complessità e le molteplici interdipendenze delle sue componenti. Non si tratta però di un semplice mutamento dello sguardo sul creato e di una sua nuova comprensione. In posta c’è infatti la necessità di costruire un nuovo modello di sviluppo, a cui ciascuno può contribuire, intervenendo sul proprio stile di vita, per renderlo più ecologico e condividerlo con altri. A partire dai consumi personali e famigliari, mirando a ridurre non tanto i costi in sé, ma i costi “ecologici”, cioè l’impatto sull’ambiente e sulla società del modo di vestire, riscaldarsi, alimentarsi. A tavola, quindi, bisogna mettere più cereali e verdure, diminuendo carni e formaggi, per privilegiare invece la qualità e i metodi di produzione che rispettano la dignità degli animali. In città occorre creare spazi per l’incontro, e incrementare le relazioni umane, che sono la ricchezza più grande di una società. È una conversione che anche la Chiesa è chiamata a vivere, abbandonando il modello di vita piccolo-borghese che di fatto ha spesso incarnato e incentivato, per promuovere forme concrete di solidarietà e stili di vita che trasformino concretamente la vita personale e comunitaria, nell’accoglienza di poveri e immigrati e nel rispetto dell’ambiente.
L’intelligenza all’uomo è utile, ma non basta per comprendere e decidere. È quanto afferma il filosofo Silvano Petrosino, che dipinge il quadro di una cultura attuale orientata al “problem solving”. Lo sforzo, cioè, di rimuovere gli ostacoli che impediscono di raggiungere obiettivi e desideri, grazie a strategie vincenti che, applicate passo-passo, permettono di giungere alla meta. Semplice, rapido, con successo assicurato. Ma accanto a “problemi” grandi e piccoli, nella vita quotidiana ci si imbatte in autentiche “questioni”, di fronte a cui l’intelligenza arretra. Trovarsi in classe un bambino che ha appena perso il padre, e dovergli insegnare la tabellina del 3, quando non basta conoscere la matematica. Scegliere se sposare, o no, la donna di cui si è innamorati, dove non basta sapere se si ha un lavoro stabile e se gli esami medici sono tutti OK. Giocare a scacchi con il figlio e farlo vincere, ma senza che se ne accorga, mentre un computer saprebbe solo puntare alla vittoria. Sono esempi di “questioni” di fronte alle quali deve entrare in campo ciò che i filosofi chiamano “ragione”, un pensiero cioè che sa misurarsi con il mistero, l’infinito, il non calcolabile. Là dove non esistono risposte facili, schemi e metodi noti da applicare, ma occorre chiedersi il perché e il senso delle cose. Misurandosi con quel “sapere di non sapere”, che Socrate addita come primo passo verso la conoscenza autentica. È il sapere, delicato e umile, che occorre esercitare quotidianamente nella casa, luogo di intimità e giustizia, in cui si impara ad accettarsi gli uni gli altri, con i propri difetti e le manie. In cui trovano posto vecchi oggetti, apparentemente inutili, ma custodi di memorie famigliari. Un luogo in cui giustizia non significa equità, ma attenzione all’unicità di ognuno e ai suoi bisogni. Tecnocrazia è pretendere di appiattire ogni “questione” a un “problema” da risolvere, dando risposte troppo semplici a una realtà, di fronte a cui, prima del “come”, occorre chiedersi “perché”. E usare la “ragione”, che non è solo “intelligenza”.
«Per custodire il creato, custodisci le persone intorno a te». Con un pensiero preso a prestito da madre Annamaria Canopi, Giorgio Borroni spiega l'essenza della custodia del creato, che papa Francesco ha voluto annoverare come nuova opera di misericordia. Le relazioni infatti «costruiscono il mondo che abitiamo - prosegue don Giorgio - e hanno bisogno di cura, se no si interrompono e svaniscono. Perchè non è vero che "si raccoglie quello che si semina": si raccoglie ciò che si coltiva. E chi ha un orto sa benissimo che non basta seminare...». Occorre quindi lavorare sul proprio stile di vita e cambiarlo in meglio, partendo dal cuore pulsante della persona, che è la spiritualità. «Senza investire in essa, non si costruisce nulla di autentico e di duraturo», afferma don Giorgio. Per costruirla occorre lavorare sul fronte della cultura, che coniuga i principi e i valori con la compresione della realtà, perché «in tutti i campi - anche quello della carità - abbiamo sempre più bisogno di un'intelligenza della realtà che permetta di comprendere meglio e agire con spirito critico e creatività». Per questo la Chiesa deve crescere nella capacità di fare luce sulla realtà e denunciarne le storture, ma anche quella di stimolare e "disturbare" il modo corrente di pensare, per aprire nuovi orizzonti, prospettive e disponibilità.