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Felici, o fortunati? Né l'uno né l'altro. Il termine “beati” che ricorre nel testo delle Beatitudini ha invece nel Vangelo secondo Matteo un significato tecnico specifico, che occorre analizzare nel contesto stesso del Vangelo. Esso rimanda al termine “asher”, che apre il Salmo 1, configurando il profilo dell’uomo immerso giorno e notte nella fedeltà orante a Dio. È l’immagine di Gesù che emerge nel racconto di Matteo, che mostra Gesù come il primo dei discepoli, che chiama gli altri a imitarlo e seguirlo nel cercare la volontà di Dio. I “beati” sono perciò i fratelli di Gesù, chiamati a lasciare tutto - patrimonio e famiglia di origine - per seguirlo, e a patire persecuzioni per causa sua, che sarà sempre con loro, in un legame che neanche la morte potrà vincere, grazie alla risurrezione. Aldo Del Monte è stato testimone di questa fedeltà a Cristo, nelle sua esperienza di pastore e Vescovo.
«Per essere adatti e pronti bisogna continuare a ricevere l'“impronta” del “ Signore che si fa servo ”». Così mons. Brambilla, commentando la lettera di san Paolo ai Filippesi (Fil 2,5 - 11) si rivolge a Matteo Balzano e Alessandro Maffioli nella celebrazione che li vede ordinati diaconi nella Cattedrale di Novara. Destinati a un cammino di servizio e d’imitazione del Signore, dovranno rinnovare ogni giorno le motivazioni di una scelta che sarà all’origine di tutti i passi importanti che faranno e delle decisioni che dovranno prendere nel loro ministero.
Nove incontri per dischiudere il mistero dell’ultimo libro del Nuovo Testamento. Il messaggio del veggente Giovanni, intessuto di visioni e simboli, trattiene il mistero profondo della salvezza, che attende di essere rivelato, per donare nuova speranza all’umanità, assetata di Dio. L’itinerario avrà anche funzione propedeutica a un pellegrinaggio in Turchia e Patmos (agosto 2018) proposto dall’Ufficio Pellegrinaggi della Diocesi di Vicenza, in collaborazione con La Nuova Regaldi e l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Novara.
«Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato dal suo carcere». Il testo del capitolo 20 dell’Apocalisse ha visto i lettori dividersi, nei secoli, tra interpretazioni letterali - che hanno dato vita ai vari “millenarismi” in attesa della fine del mondo - e allegorico-simboliche. Le prime smentite a più riprese nella storia, le seconde funzionali, di volta in volta, a far dire al testo ciò che l’interprete desiderava nel contesto storico a lui attuale. Ma cosa potevano rappresentavano i famosi “mille anni” nel contesto originario, in cui fu scritto il testo? Per rispondere occorre risalire alle radici della letteratura “apocalittica” - così chiamata proprio dall’ultimo testo dell’Antico Testamento -. Essa raccoglie testi esoterici, commissionati anch’essi dalla classe sacerdotale di Gerusalemme, e destinati non al popolo - come i 24 libri accolti nel canone ebraico rabbanita - ma ai membri stessi del gruppo dirigente. Testi densi dei più alti misteri di Dio, e per questo celati sotto un linguaggio simbolico noto solo agli iniziati. La loro teologia è frutto dell’incontro della religiosità ebraica con quella iranica, conosciuta sotto il dominio persiano e fonte di grande fascino e attrazione. In essa il soprannaturale è ricondotto al primeggiare di un’unica divinità, posta all’origine dello spazio e del tempo, inizialmente fusi in un tutt’uno indefinito. Quest’unità si è rotta per dare luogo al tempo della storia umana, dominata dal conflitto tra bene e male, che dopo 12 mila anni volgerà al termine con il trionfo del bene e il ritorno all’unità originaria, che non sarà mai più turbata. Dio abita oltre il settimo cielo, e la sua sede è collocata in quel centro immobile attorno a cui ruotano tutte le altre stelle, che nel V secolo a.C. coincide con uno degli assi della costellazione del piccolo carro. Adonay, il Dio di Israele, è colui che abita questo luogo unico in cui hanno origine lo spazio e il tempo - scandito dalla rotazione delle stelle - e il tempio di Gerusalemme e l’arca dell’alleanza - “piccolo carro” che riproduce quello celeste - sono la sua dimora sulla terra. Se, come dice il Salmo 90, per Dio mille anni «sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia della notte», 12 ore divine corrispondono a 1000 anni umani. I sei giorni della creazione corrispondono quindi a 12 mila anni. E al loro termine si ha il sabato, che nel testo di Genesi non vede mai il tramonto, e quindi dura… 1000 anni. È appunto tempo nel quale regneranno con Cristo alla fine della storia, come narra il testo dell’Apocalisse, la durata di un dì - secondo il computo divino -, al termine del quale Satana sarà liberato, ma per venire subito sconfitto, e definitivamente dal Cristo risorto, insieme con la morte e con i suoi seguaci, per i quali non ci sarà più posto nella nuova creazione, nel giorno eterno di Dio che non vedrà tramonto. È quanto avviene il sabato santo, in cui Cristo sconfigge per sempre la morte, compimento escatologico del primo sabato, senza tramonto, collocato all’origine dei tempi.
Documentazione delle lezioni tenute nelle seguenti date:
“Credo in un solo Dio…”. Così ha inizio il testo del Credo, recitato a messa ogni domenica. Redatto nel concilio di Nicea (325 d.C.), esso riassume in 12 articoli la professione di fede della Chiesa. Affermazioni per lungo tempo date per scontate, ma che oggi sempre più suscitano interrogativi. Come e perché si giunti a formularle? E quanto esse rispecchiano autenticamente la realtà e l’intuizione originaria di Gesù di Nazaret? Un percorso in 8 incontri, guidato dal biblista don Silvio Barbaglia, offre spunti di risposta, esplorando il laborioso e affascinante processo che ha portato a ridefinire l’immagine di Dio a partire dal mistero dell’Incarnazione.
Versione in italiano del Vangelo secondo Tommaso (Matteo Grosso) e documentazione delle lezioni tenute da don Silvio Barbaglia nelle seguenti date:
Lezione n. 1 del 6 novembre 2019
Lezione n. 2 del 13 novembre 2019
Lezione n. 3 del 20 novembre 2019
Lezione n. 4 del 27 novembre 2019
Lezione n. 5 del 4 dicembre 2019
Lezione n. 6 del 11 dicembre 2019
Lezione n. 1 del 14 aprile 2021
Lezione n. 2 del 21 aprile 2021
Lezione n. 3 del 28 aprile 2021
Lezione n. 4 del 5 maggio 2021
Gesù non nega i bisogni dell'uomo, anzi, parte sempre da loro. Ma poi invita costantemente l'uomo alla gratuità, che è lo stile di Dio. Così si comporta il decimo lebbroso, anche se l'uomo è impastato sul modello degli altri nove.
Foto: visita a don Piero Udini presso Campino e cammino all'Eremo di Vercio.
Jihad e martirio cristiano. Uccidere in nome di Dio, o accettare di soffrire per Dio? Strade opposte per il Paradiso, nelle diverse tradizioni religiose. Di cosa si vanta san Paolo? «È quando sono perseguitato che sono forte», cioè quando sono destinatario di un'azione di violenza per Cristo, sono avversato per lui, Cristo non mi abbandona, è sempre con me nel momento della prova. Il martirio cristiano non è quindi rischiare la vita per combattere i nemici della fede, ma resistere con Cristo nel rendergli testimonianza, stando dalla parte lesa e non dalla parte di chi attacca. Solo in questo caso si può essere violenti nella tradizione cristiana, difendendo il debole schiacciato e perseguitato.
«L'avete fatto a me», dice Gesù nel giudizio finale (Mt 25,40) a coloro che hanno accolto i piccoli nel suo nome. È quanto il Vangelo chiede di compiere nei confronti di chi giunge fuggiasco da terre flagellate da guerra e povertà.
Lezione n. 1 del 4/11/2020
Lezione n. 2 del 11/11/2020
Lezione n. 3 del 19/11/2020
Lezione n. 4 del 26/11/2020
Lezione n. 5 del 02/12/2020
Raccolta delle registrazioni audio del ciclo di lezioni "Matteo. Il Vangelo di Gerusalemme", proposto dalla Parrocchia di Cameri (Novara).
Lezione n. 1 del 19 maggio 2021
Lezione n. 2 del 26 maggio 2021